In Italia la prostituzione è stata regolamentata dallo Stato fin dai tempi antichi. Nel Regno delle Due Sicilie, già nel 1432, era stata rilasciata una reale patente per l'apertura di un lupanare pubblico; e anche nella Serenissima Repubblica di Venezia esistevano numerose case di prostituzione. Case di tolleranza erano presenti anche nello Stato pontificio. Il Regno di Sardegna introdusse il meretricio di stato (pensato, voluto e realizzato da Cavour), anche e soprattutto per motivi igienici, lungo il percorso delle truppe di Napoleone III nella seconda guerra di indipendenza italiana, sul modello di quanto già esisteva in Francia dai tempi del primo Napoleone.
Con l'unità d'Italia, una legge del 1860 estendeva questa pratica a tutto il paese, dove peraltro esisteva già una ricca tradizione di tolleranza in varie regioni. Lo Stato italiano si faceva carico di fissare anche i prezzi degli incontri a seconda della categoria dei bordelli, adeguandoli al tasso di inflazione. Ampi consensi popolari erano andati, ad esempio, al ministro degli Interni Giovanni Nicotera quando, nel 1891, aveva dimezzato il prezzo di un semplice trattenimento in una casa di terza classe, con ulteriori sconti per soldati e sottufficiali, mentre Urbano Rattazzi, anni prima, aveva persino stabilito con un decreto ministeriale che una prestazione basilare doveva durare venti minuti.
Il regime fascista, con il Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza del 1931, aveva imposto misure restrittive nei confronti delle prostitute, obbligate a essere schedate dalle autorità di pubblica sicurezza e sottoposte a esami medici obbligatori. La frequentazione di case di tolleranza era, prima della loro chiusura, una pratica abbastanza consueta presso la popolazione maschile, mentre le donne che entravano a far parte della schiera delle prostitute avevano poche possibilità di affrancarsi da un mestiere che spesso era fonte di malattie veneree e quindi di una minore aspettativa di vita.
Anche dopo la fine della seconda guerra mondiale l'opinione pubblica era in buona parte favorevole alla prostituzione legalizzata, sia per ragioni di igiene pubblica, sia per la volontà di porre un divario con le ragazze destinate a diventare spose e madri e per garantire alla popolazione maschile una valvola di sfogo per i propri istinti sessuali.
poi arrivo la Legge Merlin, è il nome con cui è nota la legge 20 febbraio 1958 n. 75 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 55 del 4 marzo 1958), della Repubblica Italiana chiamata in questo modo in quanto la prima firmataria era la senatrice socialista Lina Merlin.
Con questa legge veniva stabilita, entro sei mesi dall'entrata in vigore della Legge, la chiusura delle case di tolleranza, l'abolizione della regolamentazione della prostituzione in Italia e l'introduzione di una serie di reati intesi a contrastare lo sfruttamento della prostituzione altrui.
La tenacia di Lina Merlin nel portare avanti, fin dal momento della sua elezione, la propria lotta al lenocinio (favoreggiamento) inteso come sfruttamento di prostitute (e, di fatto, quindi decretare l'illegalizzazione della prostituzione) portò all'approvazione dell'omonima e ampiamente discussa legge.
Il suo primo atto parlamentare era stato quello di depositare un progetto di legge contro il sesso in compravendita e l'uso statale di riscuotere la tassa di esercizio. Un incentivo alla sua azione legislativa venne dall'adesione dell'Italia all'ONU. In virtù di questo evento, il governo dovette sottoscrivere diverse convenzioni internazionali tra cui la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo (del 1948) che, tra l'altro, faceva obbligo agli Stati firmatari di porre in atto "la repressione della tratta degli esseri umani e lo sfruttamento della prostituzione".
Dagli anni ottanta nel dibattito politico italiano hanno preso corpo numerose richieste per l'abrogazione - in tutto o in parte - della Legge Merlin, giudicata non più al passo con i tempi. La legge è ritenuta da più detrattori[senza fonte] non idonea a gestire il fenomeno della prostituzione in Italia che, di fatto, rimane una realtà presente e costante. In Italia, infatti, non è considerato reato la vendita del proprio corpo, mentre lo è lo sfruttamento del corpo altrui anche se in ambiente organizzato. Ciò ha permesso il proseguire, di fatto, della mercificazione corporale nelle strade oltre che nelle case, ma nella clandestinità.
Inoltre, prima dell'entrata in vigore della legge la prostituzione nelle strade era molto poco diffusa, mentre dopo l'entrata in vigore è aumentata notevolmente[senza fonte]. Negli anni novanta, soprattutto, si è sviluppato il fenomeno della prostituzione legata all'immigrazione clandestina, esploso poi negli ultimi anni: le prostitute in strada sono nella quasi totalità straniere. Due le etnie più rappresentate: nigeriane da una parte ed europee dell'Est dall'altra.
Il traffico di donne, talvolta anche minorenni, e i lauti guadagni del loro sfruttamento, è passato sotto il controllo delle mafie italiane e dei loro Paesi d'origine, sempre più presenti queste ultime sul territorio italiano. Queste nuove schiave, legate al traffico di esseri umani, sono oggi, di fatto, un problema irrisolto che ripropone con urgenza il ripensamento di tutte le leggi in questo campo, a cominciare dalla stessa legge Merlin.
Tuttavia al giorno d'oggi una regolamentazione più specifica del fenomeno parrebbe opinabile, dato che la prostituzione genera in Italia un notevole indotto (50000-70000 prostitute coinvolte, 9 milioni di clienti, 19-25 miliardi di euro il giro d'affari stimato) sottratto all'imposizione fiscale.
Il dibattito politico negli anni 2010 - 2012 sul tema è però risultato sterile dal punto di vista dei risultati, dato che attualmente la normativa in materia è la stessa del 1958, nonostante le numerose proposte di modifica presentate dai politici dei vari schieramenti.
ma oggi ci si domanda, il proibizionismo,se è accertato il suo fallimento, considerato il fatto che e solo fonte economica per la criminalità organizzata,degrado,sfruttamento, malattie. Se tutto questo sistema venisse regolamentato, non si raggiungerebbero segni di buona civiltà.
Ruisi Francesco